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frammento primo. 131

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Duo re de’ Goti un dopo l’altro uccida:
Ma poi di sangue e d’ira fatto cieco,
Chiama Alboino, e di Pannonia il snida;
E quel, crudele e ingordo alla rapina,
Veneti e Insubri spoglia, arde e ruina.

29 Arde Pavia, Milan getta per terra;
Par ch’egli uccìso poi sia dalla moglie:[1]
Onde all’Italia ognun corre a far guerra,
E ne riporta ognun trionfi e spoglie.
Si vede poi dall’Alpe che la serra,
Che molta gente al pian qui si raccoglie,
A’ prieghi mossa di Maurizio Augusto,
Che vuol cacciarne il Longobardo ingiusto.

30 Ma le cose succedono diverse
Dal suo sperar, chè innanzi al Longobardo
Le genti franche van rotte e disperse,
Per fortuna e valor d’Eutar gagliardo;
Del qual si veggon poi l’arme converse
Verso Orïente, e corso il suo stendardo
Da’ piè de’ monti al mamertino lido,[2]
E par che s’oda, ovunque vada, il grido.

31 Due volte da costui par Roma oppressa;
Poi da Ghisulfo, quando Augusto irato
Par che ’l faccia venire a’ danni d’essa,
Di che n’arde Toscana in ogni lato.
Ecco, con gente più che l’api spessa,
Che ’l re bavaro è nel Friuli entrato,
Poi che Romilda, in mezzo ’l cor ferita
Dall’empio amor, la patria gli ha tradita.

32 E quel crudel la strugge sì, che a pena
Di quel ch’esser solca vestigio resta;
E i Longobardi in tanto strazio mena,
Che poco più non ne restava testa.
Di sangue e fôco è tutta Italia piena,
Ch’or gente greca, or barbara l’infesta:
Morto si vede Teodoro al piano,
Con otto mila del nome romano.

33 Altrove par che Grimoaldo, uscito
Di Benevento, i ricchi Insubri assaglia;


  1. Rosmunda.
  2. A Messina.
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