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Che ’l seme d’Ariperto sia fuggito;
Che a Clodovéo di Francia sì ne caglia,
Che con lui manda esercito infinito;
Che perda poi con scorno la battaglia,
Chè al vino e a’ cibi la gente francesca
Presa riman, come la lasca all’esca.

34 Costanzo passa il mar, e ’n Puglia smonta,
Arde Luceria e la contrada strugge:
Vien Romoaldo a vendicar quest’onta;
Non l’aspetta Costanzo, e a Roma fugge:
Resta Saburro, e ’l Longobardo affronta;
Ma tosto se ne pente, e in van ne lugge,[1]
Chè di ventidue mila ch’eran seco,
Seicento non tomaro al lito greco.

35 Onde Costanzo, che si disconforta
Del dominio d’Italia, i luoghi sacri
Spoglia d’oro, d’argento, e se ne porta
Degli antichi Romani i simulacri.
Non pur ferita da costui, ma morta
Roma ne resta; nè sì acerbi ed acri
In trecent’anni i Barbari le fûro,
Come in un mese il Greco empio e perjuro.

36 Per ornar la città di Costantino,
Porta gli onori e i trionfali segni
Che per memoria il popol di Quirino
Lasciato avea de’ superati regni:
Ma vento avverso gl’impedì il cammino
E fe in Sicilia scaricare i legni,
E di là poi, con molti altri tesori,
Se li portaro in Alessandria i Mori.

37 Si vede Lupo di Friul, che aspira
Al dominio d’Italia, e tutta prende
La Toscana e l’Emilia, e dove gira
L’Adige e ’l Menzo,[2] e là dov’Adda scende;
Onde ’l figliuol di Grimoaldo tira
Il Bavaro in Friúl, che poi l’incende,
E Lupo uccide, e da quella tempesta


  1. Latinismo non imitabile, benchè usato in prosa, come i Veronesi notarono, da Fra’ Guittone.
  2. Secondo la pronuncia antica e lombarda, invece di Mincio. Mencio scrive Leandro Alberti nella Descrizione dell’Italia: Menzo, gli editori nell’indice di quest’opera.
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