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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Ariosto-Op.minori.1-(1857).djvu{{padleft:173|3|0]]
5 Lascio gli antichi esempli di soldati
Di Cesar, di Pompeo, d’Antonio e Bruto,
Che a lor patria, a lor sangue erano ingrati,
Dando a’ lor capi in le mal’opre ajuto.
Quanti n’avete, o gloriosi nati
D’Ercole invitto, a questi dì veduto,
Che vi son stati e son di côre amici,
E negli effetti poi come nemici?
6 L’essere o con Vinegia, o col Pastore,
O con altra potenza a voi nemica,
Par lor, per questo universale errore,
Ch’obblighi più che l’amicizia antica.
Di farvi danno a tutti scoppia il côre,
E pur lo fanno, ovunque lor lo dica
Questo che far il debito vien detto,
Che non si lascia innanzi altra rispetto.
7 Ma voi, che avete cognizion del strano
Stile, che al mondo o ben o mal che s’usi,[1]
Benché avea il luogo il cardinal toscano[2]
Che usar mal seppe quel degli Alidusi,
Nè lui però nè il suo fratel Giuliano
Dall’amicizia vostra avete esclusi;
Li due rampolli del ben nato Lauro,
Che fe, mentre fu verde, il secol d’auro.
8 Se fu il duca d’Urbino ubbidïente
Al zio nel guerreggiarvi, non gli tolle
Che del mal vostro, come buon parente,
Non abbia avuto il cor dì pietà molle:
Nè voi manco l’amate; onde sovente,
Con quelle maggior laudi che s’estolle
Uom di valor, vi sento l’opre belle
De’ suoi verdi anni alzar fin alle stelle.
- ↑ Così le stampe; ed è forma, o sintassi, come ognun vede, non chiara. Il senso è certamente: che al mondo s’usa o bene o male che ciò sia.
- ↑ Vuol qui l’Ariosto dar lode ai principi Estensi, perchè a malgrado delle offese che altri, costretto dal debito, aveva a lor dovuto inferire, non avessero dimenticata l’antica amicizia verso gli offensori medesimi. È dunque da intendersi «cardinal toscano» pel cardinale Giovanni de’ Medici, legato pontificio, com’era prima stato Francesco Alidosi, ucciso in Ravenna per mano del duca Francesco Maria della Rovere; «Giuliano,» il De’ Medici, duca di Nemours, fratello del cardinale Giovanni, ambedue figliuoli del Magnifico Lorenzo. Così nella stanza seguente, «il duca d’Urbino» è lo stesso Francesco Maria roveresco, che dovè capitanare l’esercito che il suo «zio» (Giulio II) aveva mosso contro il duca di Ferrara.