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SATIRE.




SATIRA PRIMA.[1]




A MESSER GALASSO ARIOSTO, SUO FRATELLO.


  Perc’ho molto bisogno, più che voglia,
D’esser in Roma, or che li cardinali
3A guisa delle serpi mutan spoglia:[2]
  Or che son men pericolosi i mali
A’ corpi, ancor che maggior peste affliga
6Le travagliate menti de’ mortali;
  Quando la ruota, che non pur castiga
Issïon rio, si volge in mezzo a Roma
9L’anime a crucïar con lunga briga:[3]
  Galasso, appresso il tempio che si noma
Da quel prete valente che l’orecchia
12A Malco allontanar fe dalla chioma,
  Stanza per quattro bestie mi apparecchia,
Contando per me due con Gianni mio,[4]
15Poi metti un mulo e un’altra rôzza vecchia.
  Camera o buca, ove a stanzar abbia io,
Che luminosa sia, che poco saglia,
18E da far fuoco comoda, desio.
  Nè de’ cavalli ancor meno ti caglia,


  1. Creduta dal Baruffaldi del 1517. Tra le manoscritte è la prima.
  2. Cioè presso al tempo dell’Avvento, quando i cardinali, dimesso l’abito rosso, vestono il violaceo. — (Baruffaldi.)
  3. Sotto l’allegoria della ruota che in mezzo a Roma si volge, intese, probabilmente, il poeta la tormentosa ambizione perpetua della corte. — (Barotti.)
  4. Un servitore del poeta, nativo di Pescia.
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