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170 satira seconda.

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  E tanto ne mangiò, che l’epa sotto
Si fece più d’una gran botte grossa,
252Fin che fu sazio, e non però di botto.
  Temendo poi che gli sien peste l’ossa,
Si sforza di tornar dove entrato era,
255Ma par che ’l buco più capir nol possa.
  Mentre s’affanna e uscire indarno spera,
Gli disse un topolino: — Se vuoi quinci
258Uscir, trâtti, compar, quella panciera.
  A vomitar bisogna che cominci
Ciò c’hai nel corpo, e che ritorni macro:
261Altrimenti quel buco mai non vinci. —
  Or conchiudendo dico, che se ’l sacro
Cardinal comperato avermi stima
264Con li suoi doni, non mi è acerbo ed acro
  Renderli, e tôr la libertà mia prima.




SATIRA TERZA.




A MESSER ANNIBALE MALEGUCCIO.


  Da tutti gli altri amici, Annibal, odo,
Fuor che da te, che sei per pigliar moglie:
3Mi duol che ’l celi a me; che ’l facci, lodo.
  Forse mel celi perchè alle tue voglie
Pensi che oppor mi debbia, come io danni,
6Non l’avendo tolta io, s’altri la toglie.
  Se pensi di me questo, tu t’inganni:
Ben che senza io ne sia, non però accuso
9Se Piero l’ha, Martin, Polo e Giovanni.
  Mi duol di non l’avere;[1] e me ne iscuso
Sopra varî accidenti che l’effetto


  1. Vedi la nota 4 a pag. 156. Siccome è però incerto il tempo in cui Lodovico si ammogliasse veramente coll’Alessandra Benucci, così riman dubbio se qui parli da senno, o per coprire di segreto un vincolo che giovavagli di tenere occulto per non perdere le sue rendite ecclesiastiche.
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