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184 | satira quarta. |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Ariosto-Op.minori.1-(1857).djvu{{padleft:213|3|0]]
A fare il pozzo; nè di più guadagno
147Gli son per esser mai, ch’io gli sia suta:
Veggio che dietro agli altri mi rimagno;
Morrò di sete, quando non procacci
150Di trovar per mio scampo altro rigagno. —
Cugin, con questo esempio vuò che spacci
Quei che credon che ’l papa porre innanti
153Mi debba a Neri, a Vanni, a Lotti e a Bacci.[1]
Li nipoti e i parenti, che son tanti,
Prima hanno a ber; poi quei che lo ajutaro
156A vestirsi il più bel di tutti i manti.
Bevuto ch’abbian questi, gli fia caro
Che beano quei che contra il Soderino,
159Per tornarlo in Firenze, si levaro.
L’un dice: — Io fui con Pietro in Casentino,
E d’esser preso e morto a risco venni: —
162— Io gli prestai danar, — grida Brandino.
Dice un altro: — A mie spese il frate[2] tenni
Uno anno, e lo rimessi in veste e in arme;
165Di cavallo e d’argento gli sovvenni.—
Se fin che tutti béano, aspetto a trarme
La volontà di bere, o me di sete
168O secco il pozzo d’acqua veder parme.
Meglio è star nella solita quïete,
Che provar s’egli è ver che qualunque erge
171Fortuna in alto, il tuffa prima in Lete.
Ma sia ver, se ben gli altri vi sommerge,
Che costui[3] sol non accostasse al rivo
174Che del passato ogni memoria asterge:
Testimonio son io di quel ch’io scrivo;
Ch’io non l’ho ritrovato, quando il piede
177Gli baciai prima, di memoria privo.
Piegòssi a me dalla beata sede;
La mano e poi le gote ambe mi prese,
180E il santo bacio in amendue mi diede.
Di mezza quella bolla anco cortese