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satira quinta. | 191 |
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Esser gli par quel che non è; e più innanzi
66Che in tre salti ir non può, si mette il segno.
Non vuol che in ben vestire altro lo avanzi;
Spenditor, scalco, falconiero, cuoco,
69Vuol chi lo scalzi, chi gli tagli innanzi.
Oggi uno e diman vende un altro loco;
Quel che in molt’anni acquistâr gli avi e i patri,
72Getta a man piene, e non a poco a poco.
Costui non è chi morda o chi gli latri;
Ma liberal, magnanimo si noma
75Fra li volgar giudici oscuri ed atri.
Solonnio[1] di faccende sì gran soma
Tolle a portar, che ne saría già morto
78Il più forte somier che vada a Roma.
Tu ’l vedi in Banchi, alla dogana, al porto,
In Camera apostolica, in Castello,
81Da un ponte all’altro a un volger d’occhi sórto.[2]
Si stilla notte e dì sempre il cervello,
Come al papa ognor dia freschi guadagni,
84Con novi dazî e multe e con balzello.
Gode fargli saper che se ne lagni
E dica ognun che all’util del padrone
87Non riguardi parenti nè compagni.
Il popol l’odia, ed ha d’odiar ragione,
Se d’ogni mal che la città flagella,
90Gli è ver ch’egli sia il capo e la cagione.
E pur grande e magnifico s’appella,
Nè senza prima discoprirsi il capo
93Il nobile o ’l plebeo mai gli favella.
Laurin[3] si fa della sua patria capo,
Ed in privato il pubblico converte;
96Tre ne confina, a sei ne taglia il capo.
Comincia volpe, indi con forze aperte
Esce leon, poi c’ha ’l popol sedutto
99Con licenze, con doni e con offerte.
Gl’iniqui alzando, e deprimendo in lutto
Gli buoni, acquista titolo di saggio.