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200 satira sesta.

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Giovio, al Cavallo, al Blosio, al Molza, al Vida
129Potrò ogni giorno, e al Tibaldeo[1] far motto:
  Tôr di essi or uno, e quando uno altro, guida
Pei sette colli, che, col libro in mano,
132Roma in ogni sua parte mi divida.
  — Qui (dica) il Circo, qui il Fôro romano,
Qui fu Suburra; e questo è il sacro clivo;
135Qui Vesta il tempio, e qui il solea aver Giano. —
  Dimmi ch’avrò, di ciò ch’io leggo o scrivo,
Sempre consiglio, o da latin quel tôrre
138Voglia, o da tosco, o da barbato argivo.
  Di libri antiqui anco mi puoi proporre
Il numer grande, che per pubblico uso
141Sisto da tutto il mondo fe raccôrre.[2]
  Proponendo tu questo, s’io ricuso
L’andata, ben dirai che tristo umore
144Abbia il discorso razional confuso.
  Ed io in risposta, come Emilio, fuore
Porgerò il pie, e dirò: — Tu non sai dove
147Questo calzar mi prema e dia dolore.[3]
  Da me stesso mi tol chi mi rimove
Dalla mia terra; e fuor non ne potrei
150Viver contento, ancor che in grembo a Giove.
  E s’io non fossi d’ogni cinque o sei
Mesi, stato uno a passeggiar fra il duomo
153E le due statue de’ marchesi miei;[4]
  Da sì nojosa lontananza domo
Già sarei morto, o più di quelli macro
156Che stan bramando in purgatorio il pomo.[5]
  Se pure ho da star fuor, mi fia nel sacro
Campo di Marte senza dubbio meno,
159Che in questa fossa, abitar duro ed acro:
  Ma se ’l signor vuol farmi grazia a pieno,


  1. Il Cavallo e il Blosio, meno conosciuti degli altri, furono, il primo anconetano, tra i lodati nel celebre poemetto dell’Arsilli De poetis urbanis; il secondo, tra i segretarî pontifici, al servigio specialmente di Leone X.
  2. Intende della Biblioteca Vaticana, formata principalmente da Sisto IV. — (Molini.)
  3. Paolo Emilio con tal detto fece tacere coloro che lo riprendevano di aver ripudiata la consorte Papiria. — (Molini.)
  4. Descrive la piazza di Ferrara, ove sono le statue dei marchesi Niccolò e Borso d’Este. — (Molini.)
  5. Cioè i golosi del Purgatorio di Dante, c. XXII e XXIII.
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