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204 satira settima.

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66Che non farà lo studio di molti anni![1]
  Esser tali devean quelli che vieta
Che sian nella repubblica Platone,
69Da lui con sì tanti ordini discreta:
  Ma non fu tal già Febo, nè Anfïone,
Nè gli altri che trovaro i primi versi;
72Che col buon stile, e più con l’opre buone,
  Persüasero agli uomini a doversi
Ridurre insieme, e abbandonar le ghiande,
75Che per le selve li traean dispersi;
  E fêr che i più robusti, la cui grande
Forza era usata alli minori tôrre
78Or mogli, or gregge ed or miglior vivande,
  Si lasciaro alle leggi sottoporre,
E cominciâr, versando[2] aratri e glebe,
81Del sudor lor più giusti frutti a côrre.
  Indi i scrittor fêro all’indôtta plebe
Creder, che al suon delle soavi cetre
84L’un Troja e l’altro edificasse Tebe;
  E avesson fatto scendere le pietre
Dagli alti monti; ed Orfeo tratto al canto
87Tigri e leon dalle spelonche tetre.
  Non è, s’io mi corruccio e grido alquanto[3]
Più con la nostra, che con l’altre scole,
90Ch’in tutte l’altre io non veggia altrettanto;
  D’altra correzïon, che di parole,
Degne: nè del fallir de’ suoi scolari,
93Non pur Quintilïano è che si duole.
  Ma se degli altri io vuò scoprir gli altari,
Tu dirai che rubato e del Pistoja[4]
96E di Pietro Aretino abbia gli armari.
  Degli altri studî, onor e biasmo, noja



  1. Il poeta avea fatto prima:
                             Che ’l studio e l’esercizio di molti anni. — (Molini.)
  2. Rivolgendo. Può aggiungersi all’altro che il Monti trasse dal Furioso «Che sempre la sua ruota in giro versa.»
  3. L’autore avea prima scritto
                             S’io mi corruccio, Bembo, e grido alquanto. — (Molini.)
  4. Antonio (chi lo vuol de’ Camelli, e chi de’ Vinci) da Pistoja fu poeta burlesco e satirico a’ tempi della gioventù dell’Ariosto. — (Barotti) — Il Tiraboschi dice che due suoi drammi furono recitati alla corte d’Ercole I, duca di Ferrara.
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