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satira settima. 205

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Mi dà e piacer; ma non, come s’io sento
99Che viva il pregio de’ poeti e moja.[1]
  Altrimenti mi dolgo e mi lamento
Di sentir riputar senza cervello
102Il biondo Aonio, e più leggier che ’l vento;
  Che se del dottoraccio suo fratello[2]
Odo il medesmo, al quale un altro pazzo
105Donò l’onor del manto e del cappello.
  Più mi duol che in vecchiezza voglia il guazzo
Placidïan, che gioven dar soleva,
108E che di cavalier torni ragazzo;
  Che di sentir che simil fango aggreva
Il mio vicino Andronico, e vi giace
111Già settant’anni, e ancor non se ne lieva.
  Se mi è detto che Pandaro è rapace,
Curio goloso, Pontico idolatro,
114Flavio biastemator, via più mi spiace,
  Che se per poco prezzo odo Cusatro
Dar le sentenze false, o che col tôsco
117Mastro Battista mescoli il veratro;
  O che quel mastro in teología, ch’al tosco
Mesce il parlar facchin, si tien la scroffa,
120E già n’ha dui bastardi, ch’io conosco;
  Nè per saziar la gola sua gaglioffa
Perdona a spesa, e lascia che di fame
123Langue la madre e va mendica e goffa:
  Poi lo sento gridar (che par che chiame
Le guardie) ch’io digiuni, e ch’io sia casto,
126E che quanto me stesso, il prossimo ame.
  Ma gli error di questi altri così il basto
Di miei pensier non gravano, che molto
129Lasci il dormir, o perder voglia un pasto.
  Ma per tornar là donde io mi son tolto,
Vorrei che a mio figliuolo un precettore
132Trovassi, meno in questi vizî involto;
  Che nella propria lingua dell’autore



  1. Il biasimo e l’onore degli altri studi mi danno noja e piacere; ma non come quello che io provo quando sento che l’onore de’ poeti risplende per virtù, o si oscura per vizio. — (Molini.)
  2. Allusioni a persone oggi sconosciute. Il medesimo è da dirsi rispetto ai nomi che seguono, di cui parte accenna, pur troppo, ad uomini di lettere e poeti; ed altra a persone di professioni da questa diverse.
ariosto.Op. min. — 1. 18

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