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206 satira settima.

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Gl’insegnasse d’intender ciò ch’Ulisse
135Sofferse a Troja, e poi nel lungo errore:
  Ciò che Apollonio e Euripide già scrisse,
Sofocle, e quel che dalle morse fronde
138Par che poeta in Ascra divenisse;[1]
  E quel che Galatea chiamò dall’onde;[2]
Pindaro, e gli altri, a. cui le Muse argive
141Donâr sì dolci lingue e sì faconde.
  Già per me sa[3] ciò che Virgilio scrive,
Terenzio, Ovidio, Orazio, e le plautine
144Scene ha vedute guaste e appena vive.[4]
  Omai può senza me per le latine
Vestigie andar a Delfo, e della strada
147Che monta in Elicon vedere il fine.
  Ma perchè meglio e più sicur vi vada,
Desidero ch’egli abbia buone scorte,
150Che sien della medesima contrada.
  Non vuol la mia pigrizia, o la mia sorte,
Che del tempio d’Apollo io gli apra in Delo,
153Come gli fei nel Palatin, le porte.[5]
  Ahi lasso! quando ebbi al Pegáseo mêlo,[6]
L’età disposta, che le fresche guancie
156Non si vedeano ancor fiorir d’un pelo;
  Mio padre mi cacciò con spiedi e lancie,
Non che con sproni, a volger testi e chiose,
159E m’occupò cinque anni in quelle ciancie.[7]


  1. Esiodo, nato io Ascra nella Beozia, sognò di masticare foglie d’alloro, e si svegliò poeta. Così racconta egli stesso nella Teogonia. — (Barotti.)
  2. Teocrito. — (Molini.)
  3. Il Baruffaldi, nella Vita di Lodovico, ebbe più volte occasione di parlare della predilezione di lui verso il figlio Virginio (natogli da una contadinella circa il 1509); della quale non è la minor prova l’averlo da sè medesimo ammaestrato nelle lettere umane e latine. Se non che il poeta aveva esercitato questo officio medesimo anche verso il maggiore de’ suoi fratelli, Gabriele.
  4. Non abbiamo anc’oggi nè tutte nè intere le Commedie di Plauto, che più imperfette e più mutile correvano ai tempi dell’Ariosto.
  5. L’Ariosto accenna, che non avendo egli apparato il greco, non poteva insegnarlo a Virginio, come aveva fatto il latino. — (Pezzana.)
  6. Per Melode, Melodia; ricopiando il Pegaseium melos di Persio, nel proemio delle sue Satire. Notò il Barotti l’allucinazione di un commentatore, per altro benemerito, che prendendo melo per l’albero delle mele, o pel frutto stesso, spiegava: Quand’ebbi l’età disposta a cogliere i frutti di Permesso, cioè la gloria d’illustre poeta.
  7. E ciò nel patrio studio di Ferrara, avendo il Baruffaldi smentita l’opinione per altri messa in campo, che l’Ariosto fosse mandato a studiar leggi nell’università di Padova. Vita ec., pag. 63 e seg.
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