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ELEGIE.




ELEGIA PRIMA.



  Nella stagion che il bel tempo rimena,
Di mia man posi un ramuscel di Lauro[1]
3A mezzo un colle in una piaggia amena;
  Che di bianco, d’azzur, vermiglio e d’auro
Fioriva sempre, e sempre il sol scopriva,
6O fosse all’Indo o fosse al lido mauro.
  Quivi traendo or per erbosa riva,
Or rorando[2] con man la tepid’onda,
9Or rimovendo la gleba nativa,
  Or riponendo più lieta e feconda;
Fei sì, con studio e con assidua cura,
12Che ’l Lauro ebbe radice e nôva fronda.
  Fu sì benigna a’ miei desir natura,
Che la tenera verga crescer vidi,
15E divenir solida pianta e dura.
  Dolci ricetti, solitarî e fidi,
Mi fûr queste ombre, ove sfogar potei


  1. Introduce il poeta la città di Firenze a dolersi della grave infermità di Lorenzo de’ Medici duca d’Urbino e nipote di Leone X, che morì per questa assai giovine, non lasciando altri eredi che una fanciulla di salute delicatissima, detta Caterina, che fu poi regina di Francia, e in cui terminò la linea retta di Cosimo il Vecchio. — (Molini). — Se le nostre congetture intorno all’allusione contenuta nel verso 94 della Satira quinta, non vanno lungi dal vero, ognuno noterà la differenza di gidizii e di linguaggio a che l’autore era venuto intorno a Lorenzo Medici ed alla sua famiglia, dopo quel fatale «Tutti morrete!» (v. 106 della Satira sesta).
  2. Esempio da potersi aggiungere al Vocabolario.
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