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elegia quarta. | 221 |
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Il testimon che sullo stigio fiume
6Alla madre e alla figlia udire increbbe;
Chè di funeste e d’infelici piume
Si ricoverse, e restò augello osceno,
9Dannato sempre ad abborrir il lume.
Pôr si devrian tutte le lingue a freno,
E gli altrui fatti apprender da costoro
12Di spiar poco, e di parlarne meno.
Questi per troppo dir puniti fôro;
Nè riguardò chi lor punì, che fosse
15D’ogni menzogna netto il detto loro.
Se degli offesi Dei sì l’ira mosse
L’esser del vero garruli e loquaci,
18Che con eterna infamia ambi percosse;
Qual pena, qual obbrobrio a quegli audaci
Si converría, ch’altri biasmando vanno
21Di colpe in che si sanno esser mendaci?
O di noi più non curano, o non hanno
Qua giù più forza, degli nostri casi
24Quei che reggono il ciel più poco sanno.
Che non vi sieno ancor crederei quasi,
Se non ch’io veggio pur per cammin certo
27L’estate, il verno andar, gli orti e gli occasi.
Ma se vi son, com’è da lor sofferto
Che lode e oltraggi, e che premi e supplici
30Non sian secondo il buono e ’l tristo merto?
Lor debito saría dalle radici
Le malediche lingue sveller tosto,
33Che di falsi rumor sono inventrici.
Qual altro più a martîr debb’esser posto,
Di quel che a donna abbia con falsi gridi
36Biasmo di ch’essa sia innocente, imposto?
Peggio è che furti, e peggio è che omicidi,
Macchiar l’onor, che di ricchezza e vita
39Sempre stimar più tra li saggi vidi.
Se per sentirsi monda, esser ardita
Femmina deve a far[1] prova che in libro,
42Meglio che in marmo, abbia a restar scolpita;
Nè a Tuzia che portò l’acqua nel cribro,
Nè cedo a quella Claudia che ’l naviglio
- ↑ Cioè, deve essere ardita a far prova ec.
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