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ELEGIA SESTA.



  O più che il giorno a me lucida e chiara,
Dolce, gioconda, avventurosa notte,
3Quanto men ti sperai, tanto più cara!
  Stelle a’ furti d’amor soccorrer dotte,
Che minuiste il lume, ne per vui,
6Mi fûr l’amiche tenebre interrotte!
  Sonno propizio, che lasciando dui
Vigili amanti soli, così oppresso
9Avevi ogn’altro, ch’invisibil fui!
  Benigna porta, che con sì sommesso
E con sì basso suon mi fosti aperta,
12Che appena ti senti chi t’era appresso!
  O mente ancor di non sognar incerta,
Quando abbracciar dalla mia dea mi vidi,
15E fu la mia con la sua bocca inserta!
  O benedetta man ch’indi mi guidi;
O cheti passi che mi andaste innanti;
18O camera che poi così m’affidi![1]
  O complessi iterati, che con tanti
Nodi cingeste i fianchi, il petto e il collo,
21Che non ne fan più l’edere o gli acanti!
  Bocca, onde ambrosia libo, nè satollo
Mai ne ritorno! dolce lingua, umore,
24Per cui l’arso mio cor bagno e rimmollo!
  Fiato che spiri assai più grato odore
Che non porta, dagl’Indi da’ Sabei,
27Fenice al rogo ove s’incende e môre!
  O letto testimon de’ piacer miei;
Letto cagion che una dolcezza io gusti,
30Che non invidio il lor néttare ai Dei!
  O letto donator de’ premî giusti;
Letto che spesso in l’amoroso assalto
33Mosso, distratto ed agitato fusti!
  Voi tutti ad un ad un, ch’ebbi dell’alto


  1. Leggi il Sonetto XIII, ove dà nome di carcere soave a questa cameretta. — (Rolli.)
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