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elegia settima. 227

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42A chiuder gli occhi ed a posare invita.
  Ma prego e parlo a chi non ode; e il giorno
S’appressa intanto, e senza frutto, ahi lasso!
45Or mi levo, or m’accosto, or fuggo, or torno.
  Tutto nel manto ascoso, a capo basso,
Vo per entrar; poi veggio appresso o sento
48Chi può vedermi, e m’allontano e passo.
  Che debb’io far? che poss’io far tra cento
Occhi, e fra tanti usci e finestre aperte?
51Oh aspettato in vano almo contento,
  Oh disegni fallaci, o spemi incerte!




ELEGIA OTTAVA.



  [1]Qual son, qual sempre fui, tal esser voglio,
Alto o basso fortuna che mi rôte,
3O siami Amor benigno o m’usi orgoglio.
  Io son di vera fede immobil cote,
Che ’l vento indarno, indarno influsso alterno
6Del pelago d’Amor sempre percôte.
  Nè giammai per bonaccia nè per verno,
Di là dove il destin mi fermò prima,
9Luogo mutai nè muterò in eterno.
  Vedrò prima salir verso la cima
Dell’alpi i fiumi, e s’aprirà il diamante
12Con legno o piombo, e non con altra lima;
  Che possa il mio destin môver le piante,
Se non per gire a voi; che possa ingrato
15Sdegno d’amor rompermi il côr costante.
  A voi di me tutto il dominio ho dato:
So ben che della mia non fu mai fede
18Miglior giurata in alcun nôvo stato.
  E forse avete più ch’altri non crede;
Quando nel mondo il più sicuro regno


  1. È scritta in nome di una donna. Gran parte de’ concetti e de’ versi che la compongono, trovansi in bocca di Bradamaate nel c. XLIV del Furioso. — (Molini.)
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