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ELEGIA DECIMAQUARTA.
Gentil città,[1] che, eoa felici auguri,
Dal monte altier[2] che forse per disdegno
3Ti mira sì, qua giù ponesti i muri;
Come del meglio di Toscana hai regno,
Così del tutto avessi! che ’l tuo merto
6Fôra di questo e di più imperio degno.
Qual stile è si facondo e si diserto,
Che delle laudi tue corresse tutto
9Un così lungo campo e così aperto?
Del tuo Mugnon potrei, quando è più asciutto,
Meglio i sassi contar, che dire a pieno
12Quel che ad amarti e riverir m’ha indutto:
Più tosto che narrar quanto sia ameno,
E fecondo il tuo pian, che si distende
15Tra verdi poggi infin al mar Tirreno:
O come lieto Arno lo riga e fende,
E quinci e quindi quanti freschi e molli
18Rivi tra via sotto sua scôrta prende.
A veder pien di tante ville i colli,
Par che ’l terren ve le germogli, come
21Vermene germogliar suole e rampolli.
Se dentro un mur, sotto un medesmo nome,
Fosser raccolti i tuoi palazzi sparsi,
24Non ti sarían da pareggiar due Rome.[3]
Una so ben, che mal ti può uguagliarsi,
E mal forse anco avría potuto prima,
27Che gli edifici suoi le fossero arsi
- ↑ Il Baruffaldi crede composta questa poesia nell’occasione che il poeta venne spedito dal suo duca a Lorenzo di Giuliano de’ Medici, per condolersi della perdita che questi avea fatta di Maddalena d’Auvergne, sua consorte. Giunto Lodovico a Firenze, trovò che ancora Lorenzo era morto. Vedasi la Lettera IV, tra le raccolte da noi nel Volume secondo.
- ↑ Il monte di Fiesole, già distrutta, secondo la tradizione, o abbandonata da quelli che poi si dissero Fiorentini.
- ↑ Benchè di concetto non poco iperbolico, e dal poeta modificato in appresso, questi due bei terzetti furono già ripetuti da tutti, e sono ancora a’ dì nostri.