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240 | elegia decimaquarta. |
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Sopra ogni altra città d’Etruria sali,
69Che fa questo, Fiorenza, al mio dolore?
I tuoi Medici, ancor che siano tali,
Che t’abbian salda ogni tua antica piaga,[1]
72Non han però rimedio alli miei mali.
Oltre quei monti, a ripa l’onda[2] vaga
Del re de’ fiumi, in bianca e pura stola,
75Cantando ferma il sol la bella maga,
Che con sua vista può sanarmi sola.
ELEGIA DECIMAQUINTA.
O lieta piaggia, o solitaria valle,
O culto monticel che mi difendi
3L’ardente sol con le tue ombrose spalle:
O fresco e chiaro rivo che discendi
Nel bel pratel tra le fiorite sponde,
6E dolce ad ascoltar mormorío rendi:
O se Driade alcuna si nasconde
Tra queste piante; o s’invisibil nôta
9Leggiadra Ninfa nelle gelide onde;
O s’alcun Fauno qui s’avventa o rôta,
O contemplando stassi alta beltade
12D’alcuna diva a’ mortali occhi ignota:
O nudi sassi, o malagevol strade,
O tener’erbe, o ben nodriti fiori
15Da tepide aure e liquide rugiade;
Faggi, pini, ginepri, olive, allôri,
Virgulti, sterpi, o s’altro qui si trova
18Ch’abbia notizia de’ mie’ antichi amori:
Parlare, anzi doler con voi mi giova;
Che, come al vecchio gaudio, testimoni
21Mi siate ancora alla mestizia nôva.