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elegia decimaquinta. 241

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  Ma pria che del mio mal oltra ragioni,
Dirò chi io sia; quantunque de’ mie’ accenti
24Vi devrei esser noto ai primi suoni:
  Ch’io solea i miei pensier lieti e contenti
Narrarvi, e mi risposero più volte
27I cavi sassi alle parole attenti.
  Ma stommi dubbio che l’acerbe e molte
Pene amorose sì m’abbiano afflitto,
30Che le prime sembianze mi sien tolte.
  Io son quel che solea, dovunque dritto
Arbor vedeva, o tufo alcun men duro,
33Della mia dea lasciarvi il nome scritto.
  Io son quel che solea tanto sicuro
Già vantarmi con voi, che felice era,
36Ignaro, aimè! del mio destin futuro.
  S’io porto chiusa la mia doglia fiera,
Morir mi sento; e s’io ne parlo, acquisto
39Nome di donna ingrata a quell’altiera.
  Per non morir, rivelo il mio cor tristo;
Ma solo a voi, che in gli altri casi miei
42Sempre mai fidi secretarî ho visto.
  Quel che a voi dico, ad altri non direi:
Io credo ben che resteran con voi,
45Come già i buoni, or gli accidenti rei.
  Quella, oïmè! quella, oïmè![1] da cui
Con tant’altro principio di mercede
48Tra i più beati al ciel levato fui;
  Che di fervente amor, di pura fede,
Di strettissimo nodo, da non sciôrse
51Se non per morte mai, speme mi diede;
  Or non mi ama nè apprezza, ed odia forse,
E sdegno e duol credo che ’l cor le punga
54Che ad essermi cortese unqua si tôrse.
  Una dilazïon già m’era lunga
D’una notte intermessa; ed ora, ahi lasso!
57Il mio contento a mesi si prolunga.
  Nè si scusa ella, che non m’apra il passo


  1. Avendo altrove seguito in questo componimento, come già fece il Molini, le lezioni addottate dal Barotti e dal Pezzana, ci è piaciuto qui attenerci a quella del Rolli, il quale faceva su di essa la seguente, secondo noi, sensata osservazione: «Con somma finezza il nostro autore rende oimè trisillabo, » sciogliendo il dittongo oi, onde il verso riesce a maraviglia più espressivo della dolente sua passione.»
ariosto.Op. min. — 1. 21

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