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elegia decimasettima. | 245 |
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E come io son sì ingordo al bel splendore,
Che abbandonando tutti gli altri sensi,
63L’alma negli occhi corsa ardendo môre;
E ch’in me vita il cor più non dispensi,
Quando, quasi stordito, nel bel seno
66Con gli occhi corran tutti i spirti intensi.
Aimè! dove corr’io sì a lento freno?
Fede non troverà tanta mia brama,
69E so che ’l dirne, a quel ch’io sento, è meno.
In tutti gli altri, le voci e la fama
Suole aggrandir la verità nel grido,
72Ma non gli effetti della mente ch’ama.
Occhi leggiadri, dunque, dove ha nido
La stanca vita, e quella pura fede,
75Per cui pace trovare ancor mi fido;
Date il perdono al stil mio, ch’ei vi chiede,
Per tacer vostra altezza, chè tal pondo
78La mia virtute senza modo eccede.
E tu, caldo disir, vago e profondo,
Che chiudi fôco e amor tanto fervente,
81Che, inteso, solo ti farebbe al mondo;
Acqueta i pensier tuoi nel fôco ardente,
Poi che la man non rende forma uguale
84A quella che ritrae l’accesa mente.
Spera, e vedrai che ’n la piaga d’un strale,
Quel che non mostran voci, inchiostri e carte,
87Mostrerà il tempo; e conosciuto il male,
Se non ti sana Amor, gli ha perso l’arte.
ELEGIA DECIMASETTIMA.
[1]Rime disposte a lamentarvi sempre,
Accompagnate il miserabil côre
3In altro stil che in amorose tempre:
- ↑ Fu questa poesia scritta dall’autore nell’età di diciannove anni, per la morte di Leonora d’Aragona, moglie del duca Ercole I di Ferrara, accaduta l’anno 1493; e pubblicata la prima volta dal Pitteri (Barotti), che la trasse da un antico manoscritto, forse non correttissimo, posseduto dal (seniore) Baruffaldi. Il Pezzana, ristampandola, tentò migliorarne in alcuni luoghi la lezione. — (Molini.)
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