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elegia decimasettima. 247

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36Le feste e i canti,[1] e a lacrimar Lionora.
  Più segno di dolor che una cometa,
Precorse il tristo dì; chè ’l chiaro lume
39Perdè in gran parte il lucido pianeta.
  Il sol, per cui convien che ’l ciel ne allume,
Vide Ferrara sconsolata e trista,
42E riconobbe il doloroso fiume;
  E ancor quest’onde a riguardar s’attrista
Sì, ch’ei turbò la luminosa fronte,
45Mostrando oscura e impallidita vista.
  Le genti meste al lacrimar sì pronte,
Le Eliadi proprio gli parca vedere,
48In ripa al fiume richiamar Fetonte.
  Nè gli occhi asciutti potè il ciel tenere
Per gran pietade, e dimostrò ben quanto
51Qua giù si debba ogni mortal dolere.
  Or si rinforzi ogni angoscioso pianto;
Che assai si chiami al paragon del male,
54Mai non potremo condolerci tanto.[2]
  Crescano i fiumi al lacrimar mortale,
Crollino i boschi al sospirar frequente;
57E sia il dolor per tutto il mondo eguale.
  Ma piangi e grida più ch’ogn’altra gente,
Tu[3] che abitasti sotto il giusto regno,
60Rimasta al suo partir trista e dolente.
  Chè morte orrenda col suo ferro indegno,
Se uccise quella, a te fece una piaga,
63Di che molt’anni resteràtti il segno.
  Non eri forse del tuo mal presaga:
Ma se ben pensi, pur[4] perduta hai quella




  1. Avverte molto opportunamento il Baruffaldi: «In mezzo alle ricordate sciagure non dovean certo aver luogo allegrezze e tripudi: ma è da ricordare che, nel maggio di quell’anno medesimo, essendo venuto a Ferrara da Milano Lodovico Sforza detto il Moro con la sua sposa Beatrice Estense, ed altra nobile comitiva, il duca Ercole in tale occasione avea fatte celebrare grandissime feste, con giostre e tornei all’uso di que’ tempi, per lo spazio di molti giorni; ed oltre a ciò, poco prima della morte di Eleonora, cioè alli 21 settembre, era stato promosso alla dignità cardinalizia Ippolito Estense I; ed abbenchè questi, giovine di non più di anni quindici, si trovasse allora in Ungheria, dovette ciò non per tanto la lieta novella recare grandissima allegrezza, e dar motivo di feste al popolo ferrarese.» Vita ec., pag 72.
  2. Non potremo mai condolerci tanto, che si chiami (giudichi) abbastanza, rispetto alla grandezza del male.
  3. Tu, gente di Ferrara.
  4. Asseverativo, come nel Petrarca, canz. XXII, 3; e in altri autori.
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