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CAPITOLI.
CAPITOLO PRIMO.
Del bel numero vostro avrete un manco,
Signor; chè qui rest’io,[1] dove Appennino
3D’alta percossa aperto mostra il fianco,
Che per agevolar l’aspro cammino
Flavio gli diede in ripa l’onda ch’ebbe
6Mal fortunata un capitan Barchino.[2]
Réstomi qui, nè quel che amor vorrebbe,
Posso a Madonna soddisfar, nè a voi
9L’obbligo sciôr che la mia fè vi debbe.
Tiemmi la febbre, e più ch’ella m’annoi,
M’arde e strugge il pensar che l’importuna,
12Quel che far pria devéa, l’ha fatto poi:
Chè s’ero per restar privo dell’una
Mia luce, almen non dovea l’altra tôrmi
15La sempre avversa a’ miei desir fortuna.
Deh! perchè quando onestamente sciormi
Dal debito potea che qui mi trasse,
18Non venne più per tempo in letto a pormi?
Non fu mai sanità che sì giovasse
- ↑ L’Ariosto, nell’andar che faceva da Ferrara alla corte d’Urbino in compagnia del cardinale Ippolito suo signore (1514 o 1515), cadde malato presso una parte degli Appennini detta il Furlo, e dovè arrestarsi probabilmente a Fossombrone, ove scrisse il presente Capitolo. Alludono le prime due terzine a Flavio Vespasiano che, per agevolare la via Flaminia da Rimini a Roma, fece un taglio in quelle montagne, e ad Asdrubale Barca cartaginese, fratello di Annibale, che fu vinto ed ucciso presso il Metauro, in quelle vicinanze, dal console Claudio Nerone. — (Molini.) — Vedi anche Baruffaldi, Vita ec, pag. 161 e 162.
- ↑ Derivato dal cognome cartaginese Barca; come nel IV dei Cinque Canti; al principio della st. 12.