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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Ariosto-Op.minori.1-(1857).djvu{{padleft:303|3|0]]
Io non ti loderò l’aspetto augusto,
Nè quell’altro che fuor vedi tu stesso,
201Il[1] corpo alle fatiche atto e robusto.[2]
Tirsi.Quanto è miglior, tanto più grave eccesso,
E meritevol di maggior supplicio,
204Chi ha cercato ucciderlo, ha commesso.
Melibeo.Ben si può dir che ’l ciel ne sia propicio;
Chè non pur d’un di tre, di quattro ed otto,
207Ma vietato abbia un gran pubblico esicio.
Una tanta ruina, e sì di botto
Non è quasi possibil che si spicchi,
210Che molta turba non v’accoglia sotto.
Prima ai nemici, e poi veníano a’ ricchi,
Fingendo nôvi falli[3] e nôve leggi,
213Perchè si squarti l’un, l’altro s’impicchi.
Ch’era di ciò cagion, credo tu ’l veggi,
Per non pagar del sao gli empi seguaci,
216Ma delli solchi altrui, delli altrui greggi.
Veduto aresti romper tregue e paci;
Surger d’un fôco un altro, e di quel diece,
219Anzi d’ogni scintilla mille faci.
Qual cosa non faría, qual già non fece,
Un popular tumulto che si trove
222Sciolto, ed a cui ciò ch’appetisce lece?
Tirsi.Queste son strane, e veramente nôve
Nuove che narri, e viémmene un ribrezzo,
225Che ’l cor m’agghiaccia e tutto mi commôve.
Deh! se dovunque vai trovi aura e rezzo,
Che credi tu ch’avría fatto la moglie,
228Se ’l caro Alfenio tolto era di mezzo?
Melibeo.Come tortora in ramo senza foglie,
Che poi ch’è priva del fido consorte,
231Sempre più cerca inasperar le doglie.
Tirsi.Sarebbe stato, appresso il caso forte
Del giusto Alfenio, e quella orrenda e vasta
234Ruina che traea con la sua morte,
Gran duol veder che la sua donna casta,