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canzone prima. 285

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Che più saldi un tenace
135Canape mai non strinse, nè catene;
E chi possa venir che me ne snodi,
D’immaginar capace
Non son, s’a snodar morte non lo viene.
Deh! dite: come avviene
140Che d’ogni libertà m’avete privo,
E menato captivo;
Nè più mi dolgo ch’altri si dorria
Sciolto da lunga servitute e ria?
  Mi dolgo ben, che de’ soavi ceppi
145L’ineffabil dolcezza,
E quanto è meglio esser di voi prigione
Che d’altri re, non più per tempo seppi.
La libertade apprezza
Fin che perduta ancor non l’ha il falcone:
150Preso che sia, depone
Del gire errando sì l’antica voglia,
Che sempre che si scioglia,
Al suo signore a render con veloci
Ali s’andrà, dove udirà le voci.
  155La mia donna, Canzon, solo ti legga,
Sì ch’altri non ti vegga,
E pianamente a lei di’ chi ti manda:
E s’ella ti comanda
Che ti lasci veder, non star occulta,
160Se ben molto non sei bella nè culta.




CANZONE SECONDA.[1]



  Anima eletta, che nel mondo folle
E pien d’error, sì saggiamente quelle
Candide membra belle


  1. Scrisse il poeta questa bellissima Canzone a Filiberta di Savoia, zia di Francesco I re di Francia, in occasione della morte del suo consorte Giuliano de’ Medici, duca di Nemours, fratello di Leone X; la quale, comecchè giovane e bella, si diede nondimeno a vita ritirata e religiosa in un monastero da essa edificato. Il poeta fa qui parlare il marito alla vedova. — (Molini.)
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