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300 | sonetti. |
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Sonetto XVI.
Madonna, io mi pensai che stare assente
Da voi non mi dovesse esser sì grave,
S’a riveder il bel guardo soave
4Venía talor, chè già solea sovente:
Ma poi che ’l desiderio impazïente
A voi mi trasse, il côr però non have
Men una delle doglie acerbe e prave;
8Anzi raddoppiar tutte se le sente.
Giovava il rivedervi, se sì breve
Non era; ma, per la partita dura,
11Mi fu un velen, non che un rimedio lieve.
Così suol trar l’infermo in sepoltura
Interrotto compenso: o non si deve
14Incominciare, o non lasciar la cura.
Sonetto XVII.[1]
Chiuso era il sol da un tenebroso velo,
Che si stendea fin all’estreme sponde
Dell’orizzonte, e mormorar le fronde
4S’udíano e tuoni andar scorrendo il cielo.
Di pioggia in dubbio o tempestoso gelo,
Stav’io per gire oltre le torbid’onde
Del fiume altier che ’l gran sepolcro asconde
8Del figlio audace del signor di Delo;
Quando apparir sull’altra ripa il lume
De’ be’ vostr’occhi vidi, e udii parole,
11Che Leandro potean farmi quel giorno:
E, tutto a un tempo, i nuvoli d’intorno
Si dileguaro, e si scoperse il sole,
14Tacquero i venti, e tranquillòssi il fiume.
- ↑ Il Baruffaldi esercitò sopra questo Sonetto la sua fantasia, scrivendo: «Dipinge sè stesso in riva del Po. dubbioso di passar il fiume, per essere il cielo torbido e procelloso; ma all’apparire della sua ninfa sulla riva di là, dice che dileguaron le nubi e tornò il ciel sereno. La ninfa eragli probabilmente venuta incontro al passaggio del Po, giacchè la casa Strozzi aveva appunto poderi in Gurzone e Occhiobello, due ville, situate alla sinistra del fiume: vedesi adunque che sin d’allora (cioè prima del 1513) aveva Lodovico concepita per Alessandra qualche geniale inclinazione.» Vita ec., pag. 152.