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sonetti. 301

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Sonetto XVIII.[1]


  Qui fu dove il bel crin già con sì stretti
Nodi legòmmi, e dove il mal, che poi
M’uccise, incominciò: sapestel voi
4Marmoree logge, alti e superbi tetti,
  Quel dì che donne e cavalieri eletti
Aveste, quai non ebbe Peleo a’ suoi
Conviti allor, che scelto in mille eroi
8Fu agl’imenéi che Giove avea sospetti.[2]
  Ben vi sovvien che di qui andai captivo,
Trafitto il côr: ma non sapete forse,
11Com’io morissi e poi tornassi in vita;
  E che Madonna, tosto che s’accorse
Esser l’anima in lei da me fuggita,
14La sua mi diede, e ch’or con questa vivo.


Sonetto XIX.


  Quando môvo le luci a mirar voi,
La forma[3] che nel côr m’impresse Amore,
Io mi sento agghiacciar dentro e di fuore
4Al primo lampeggiar de’ raggi suoi.
  Alle nobil maniere affiso poi,
Alle rare virtuti, al gran valore,
Ragionarmi pian pian odo nel côre:
8— Quanto hai ben collocato i pensier tuoi! —
  Di che l’anima avvampa, poi che degna
A tanta impresa par ch’Amor la chiami:
11Così in un luogo or ghiaccio or fôco regna.
  Ma la paura sua gelata insegna
Vi pon più spesso, e dice: — Perchè l’ami,
14Chè di sì basso amante ella si sdegna? —


  1. Consuona, secondo il Baruffaldi, al concetto della Canzone I, relativamente al luogo dove il poeta sentì più forte rinascere il suo amore verso l’Alessandra.
  2. Giove invaghito di Teti, voleva sposarla; ma avvertito che i figli di lei diverrebbero maggiori del padre, la concedè a Peleo, re di Tessaglia. — (Molini). — Allude a ciò quel verso di Catullo, nel suo celebre epitalamio sulle nozze di Peleo e Teti: Cui Iupiter ipse, Ipse suos Divûm genitor concessit amores; o, come suona nella bella versione del Ghinassi: «Cui Giove, il re della superna corte, L’amor suo concedea.»
  3. Per chiarezza del senso, è d’uopo appresso voi sottintendere queste due voci: che siete. — (Rolli.)
ariosto.Op. min. — 1. 26

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