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308 sonetti.

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Di monache, e non creder sopra il tetto,
L’abominoso incesto, e quel difetto
8Pel qual fu arsa la città di Lotto.
  T’insegnò Benedetto Bruza poi
Le risposte asinesche, e odioso farte,
11Non che agli estrani, ma alli frati tuoi.
  Riferir mal d’ognuno al duca, l’arte
Fu de’ tuoi vecchi; ma tutti eran buoi,
14Nè t’agguagliaro alla millesma parte.
  Non più; ch’in altre carte
Lauderò meglio il tuo sublime ingegno,
17Di tromba, di bandiera e mitra degno.


Sonetto XXXII.[2]


  Non ho detto di te ciò che dir posso:
E come posso averne detto assai,
Se non t’ho tocco in quella parte mai
4Che di ragion ti devería far rosso?
  So che la carne più vicina all’osso
Ti solea più piacer, e so ch’ormai,
Poi che la vacca è vecchia, a schifo l’hai,
8E so quanto rumor di ciò s’è mosso.
  Pur non voglio chiarir, basta accennarlo;
Chè non in dirlo, ma in pensarvi solo
11Di vergogna ardo: il che non fai tu a farlo.
  Non però manca che non vada a volo
La infamia tua, ch’ancor ch’io non ne parlo,
14Martin ne parla, Gianni, Piero e Polo.
  Non so come lo stuolo
De’ tuoi fratelli in tanta inerzia giaccia,
17Che tenga questo obbrobrio in sulla faccia:
  Ma credo che lo faccia,
Perchè non ti può odiar, chè gli sei stato
20Non fratel solamente, ma cognato.




  1. costui, dopo la sua morte. Per intendere le allusioni dei tre seguenti versi, ci è forza ricordare il processo ch’egli dovè subire in Mantova, pe’ suoi sozzi costumi, nel 1489; di cui fa cenno il Tiraboschi, tomo VI, par. III, lib. III, cap. IV.
  2. Questo e il precedente Sonetto (i soli satirici in cui trascorresse la musa italica di Lodovico) si trovavano scritti di sua propria mano fra le carte già possedute dal seniore Baruffaldi; e furono, per la prima volta, dati in luce nell’edizione veneta del Pitteri del 1741.
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