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312 | madrigali. |
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Madrigale VIII.[1]
Fingon costor che parlan della morte,
Un’effigie a vederla troppo ria;
E io, che so che da somma bellezza,
Per mia felice sorte,
5A poco a poco nascerà la mia;
Colma d’ogni dolcezza,
Sì bella me la formo nel desio,
Che il pregio d’ogni vita è il viver mio.
Madrigale IX.
La bella donna mia d’un sì bel fôco
E di sì bella neve ha il viso adorno,
Che Amor mirando intorno
Qual di lor sia più bel, si prende giôco.
5Tal’è proprio a veder quell’amorosa
Fiamma che nel bel viso
Si sparge, ond’ella con soave riso
Si va di sue bellezze innamorando;
Qual’è a veder qualor vermiglia rosa
10Scôpre il bel paradiso
Delle sue foglie, allor che ’l sol diviso
Dall’orïente sorge, il giorno alzando.
E bianca è sì, come n’appare, quando
Nel bel seren più limpido la luna
15Sovra l’onda tranquilla
Co’ bei tremanti suoi raggi scintilla.
Sì bella è la beltade che in quest’una
Mia donna hai posto. Amor, e in sì bel lôco,
Che l’altro bel di tutto il mondo è poco.
- ↑ Questo Madrigale fu trovato inedito fra le carte di monsignor Beccadelli, e pubblicato dal Baruffaldi (Vita ec., p. 235); il quale però ingannavasi indigrosso, supponendolo scritto dall’Ariosto nell’ultima sua malattia, «e suggerito dalla speranza di beata immortalità.» Nell’ultimo verso si desidera maggior chiarezza, che certo non mancherebbe quando invece di viver, si leggesse morir.