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liber primus. 321

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Quod procul Insubrum iudex delectus in oris
Concilias, solitâque animi probitate revincis
Pace Deûm populos inimico Marte furentes.
Seu Sophia ulcisci bello, seu pace tueri
Flagitet, herculeam vel opem si poscat utrumque,[1]
Iusta quis invicto sumet te fortius arma,
Qui tot parta refers propriâ virtute trophæa?
Vel quis pace frui tribuet sapientius alter,
Qui mediam Latii servasse laboribus urbem[2]
Solus inexhaustâ caneris virtute? Tuum sic
Fortunata diu iactet Ferraria munus,
Quo rediviva suas reparet Tritonia laudes.
.        .        .        .        .        .        .        .        .




II.

AD ALBERTUM PIUM.


Fama tuæ matris[3] crudeli funere raptæ
Dudum terrifico nostras, Pie, perculit aures
Murmure: sed me adeo stravit dolor improbus, inquam
Me me, Alberte, tuæ motus quoscumque sequentem
Fortunæ, ut subito correptus frigore membra
Torpuerim, ut gelido titubans vox hæserit ore,


  1. «Accenna la neutralità o mediazione del duca Ercole. Sembra però l’Ariosto recitasse la sua orazione verso la fine di giugno, o al più tardi sul principio di luglio; dappoichè il giorno sei accadde la gran battaglia al Taro, nella quale ebbero la peggio i Collegati, e segnatamente soffrì grandissima perdita la squadra del principe Alfonso, comandata dal capitano Pochintesta. Dopo un tale sinistro, i versi encomiastici di Lodovico sarebbero stati assai male a proposito.» Baruffaldi ec., pag. 78.
  2. «Allude l’Ariosto ad altro anteriore avvenimento, cioè all’andata e dimora dello stesso Alfonso in Roma l’anno 1492, dove con nobilissima ambasceria era stato mandato dal duca suo padre al pontefice Alessandro VI; ed ivi co’ suoi maneggi eragli riuscito di dissipare altro turbine di guerra minacciato a Roma ed allo stato.» Lo stesso, ivi.
  3. Caterina Pico, sorella del celebre Giovanni Pico della Mirandola, che fu in prime nozze maritata a Lionello Pio, morto nel 1480, e di lui generò Alberto e Lionello, che per tutta la loro vita affaticarono a recuperare lo stato di Carpi, ad essi usurpato da uno zio e da cugini, che ne avevano ottenuto investitura dall’imperatore. Alberto, amico delle lettere e de’ letterati, di Aldo Manuzio in ispecie, generalmente avuto in istima, morì, dopo molte avventure e sventure, in Parigi nel 1531.
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