< Pagina:Ariosto-Op.minori.1-(1857).djvu
Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta.
326 carminum

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Ariosto-Op.minori.1-(1857).djvu{{padleft:355|3|0]]

Flagrantem ingenii, quod amor furiavit iniquus
Et male suada Venus.[1] Quid non vesana libido,
Mersa cupidinibus mortalia pectora cogit?




III.

AD ALBERTUM PIUM.


Alberte, proles inclyta Cæsarum,
  Utrâque nam tu gente propagini
  Ostendis Augustos fuisse
  Nobile principium tuorum;
Hac luce mecum lætitiam cape,
  Sed quæ sit omni libera compede;
  Ne sit mero frontem severam
  Exhilarare pudor falerno.
Nimirum amamus si genio diem
  Sacrare, cum sint digna licentiâ
  Exuberantis gaudii, atque
  Immodicum petulantis oris,
Quæ mane nobis nuntius attulit,
  Fidelitatis nuntius integræ,
  A gallico qui nuper orbe
  Principibus rediit latinis.
Vidisse dixit Lugdunii meum
  Gregorium,[2] illum cui per Apollinem
  Uterque nostrum debet ample,
  Quamvis ego magis, et magis te.
Tu litteræ quod multum Echioniæ
  Calles, tenentur primi aditus viro


  1. Una delle sue serve, adunque, o di quelle che oggi si dicono dame di compagnia (ancillas..., sodales), procurò la morte della virtuosa e solerte Caterina. Di che, per difetto nostro o di libri, non sapemmo trovare altra testimonianza che questa, credibilissima, del poeta ferrarese.
  2. Gregorio, soprannominato Ellio od Elladio, da Spoleto, che insegnò lettere greche e latine in Ferrara, avendo tra i suoi discepoli l’Ariosto ed il Pio. Andò poi a stare in Lione, e vi mori non si sa quando, nè se mai più, come sembra accennarsi in quest’ode, tornasse in Italia. (Baruffaldi, op. cit., pag. 82-86.) Vedi anche la nota 3 a pag. 207.
Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.