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VIII.
AD PHILIROEM.
Quid Galliarum navibus aut equis
Paret minatus Carolus, asperi
Furore militis tremendo,
Turribus ausoniis ruinam:[1]
Rursus quid hostis prospiciat sibi,
Me nulla tangat cura, sub arbuto
Iacentem aquæ ad murmur cadentis,
Dum segetes Corydona flavæ
Durum fatigant. Philiroe meum,
Si mutuum optas, ut mihi sæpius
Dixisti, amorem, fac corolla
Purpureo variata flore
Amantis udum circumeat caput,
Quam tu nitenti nexueris manu;
Mecumque cespite hoc recumbens
Ad cytharam canito suave.[2]
IX.
AD PANDULPHUM.[3]
Dum tu prompte animatus ut
Si res cumque feret principe sub tuo,
Pandulphe, omnia perpeti[4]
Quæris, qui dominæ crinibus aureis
- ↑ Non fa d’uopo di sottile interprete per riconoscere dettata quest’Ode nel 1494, quando Carlo VIII stava per calare in Italia. I sentimenti stessi, imitati compiutamente da Orazio, accusano la giovinezza dell’autore. Di questi medesimi, come dell’amore della forosetta Filiroe, e delle stesse allusioni politiche, noi vediamo la conferma nell’ode che in tutte le edizioni viene immediatamente qui soggiunta; nè possiamo convenire col Baruffaldi, che vorrebbe parlarsi in essa non della venuta di Carlo, ma di quella di Luigi XII nel 1499.
- ↑ L’edizione dell’Orlandini ed altre leggono, al dispetto della prosodía: suavis caneto. Ci parve perciò di dover seguire la fiorentina del 1719 e la procurata dal Pezzana.
- ↑ Il medesimo Pandolfo Ariosti, di cui nel Carme VII.
- ↑ Legge il Pezzana: Pandulphe, omnia perferas, Quæris etc.