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canto primo. 9

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Chè siam compagne e siam sorelle tutte:[1]
E quando anco ella il nieghi con la bocca,
Quel che il cor vuol, considerar ci tocca.

17 Se tolleriam l’ingiuria, oltra che segno
Mostriam di debolezza o di viltade,
Ed oltra che si tronca al nostro regno
Il nervo principal, la maestade,
Facciam ch’osi[2] di nuovo, e che disegno
Di farci peggio in altri animo cade:
Ma chi fa sua vendetta, oltra che offende
Chi offeso l’ha, da molti si difende. —

18 E seguitò parlando, e disponendo
Le Fate a vendicare il comun scorno:
Chè s’io volessi il tutto ir raccogliendo,
Non avrei da far altro tutto un giorno.
Che non facesse questo, non contendo,
Per Morgana e per l’altre ch’avea intorno;
Ma ben dirò che più il proprio interesse,
Che di Morgana a d’altre, la movesse.

19 Levarsi Alcina non potea dal core,
Che le fosse Ruggier così fuggito:[3]
Non so se da più sdegno o da più amore
Le fosse il cor la notte e ’l dì assalito;
E tanto era più grave il suo dolore,
Quanto men lo potea dir espedito,
Perchè del danno che patito avea,
Era la fata Logistilla rea.

20 Nè potuto ella avría, senza accusarla,
Del ricevuto oltraggio far doglianza:
Ma perch’ivi di liti non si parla
Che sian tra lor, nè se n’ha ricordanza,
Parlò dell’onta di Morgana, e farla
Vendicar procacciò con ogn’instanza;
Chè senza dir di sè, ben vede ch’ella

  1. Può notarsi la rima rinterzata in questi sei versi con una stessa parola e in un significato medesimo.
  2. Leggesi nel Barotti: «ch’osin;» senza che da ciò venga luce a questi versi, per sè non ben chiari, ove invece di animo, non vogliasi correggere animi: onde scenderrebbe naturalissima la spiegazione: Facciamo che l’offensore osi di nuovo offenderci, e che in altri animi cada il disegno di farci peggio: spiegazione che molto sarebbe, al mio credere, giustificata dalle parole «chi offeso l’ha» e «da molti» dell’ultimo verso.
  3. Vedi l’Orlando furioso, VII e X. — (Molini.)
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