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358 carminum

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Parta viderentur septena ut iugera frustra,
  Prospectus longi cum brevis esset agri.
Non mites edi fructus, coalescere ramos,
  Crescere non urens umbra sinebat olus.
Emptor ad hos usus Ariostus vertit,[1] et optat
  Non minus hospitibus, quam placitura sibi.


  1. Celebra, come si vede, l’opera sua, d’aver cioè ridotto un luogo del tutto campestre e selvatico a vago insieme e fruttifero giardino. Un gentile affetto di ospitalità condisce questo come il precedente epigramma; e a far più completa la dipintura del poetico e sollecito spirito di Lodovico, ci sembra opportuno il riferire un passo delle Memorie altrove citate di Virginio suo figliuolo. «Nelle cose de’ giardini teneva il modo medesimo che nel far de’ versi, perchè mai non lasciava cosa alcuna che piantasse più di tre mesi in un loco; e se piantava anima di persiche e semente di alcuna sorte, andava tante volte a vedere se germogliavano, che finalmente rompeva il germoglio. E perchè aveva poca cognizione d’erbe, il più delle volte presumeva che qualunque erba che nascesse vicina alla cosa seminata da esso, fosse quella; la custodiva con diligenza grande sintanto che la cosa fosse ridotta a termini che non accadeva averne dubbio. Mi ricordo che avendo seminato de’ capperi, ogni giorno andava a vederli, e stava con una allegrezza grande di così bella nascione: finalmente trovò che eran sambuchi.» Vedi Baruffaldi, op. cit., pag. 199.
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