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liber tertius. | 365 |
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XVI.
FULCI AREOSTI.
Stirps Areosta fuit, Ferraria patria, Fulcus
Nomen, Roma altrix, Appula humus tegit hic.
Tormento ictus obî, dum ripæ a mœnibus arcens
Fernandum, Ursino pro duce præsideo.
Octavam vixi trieterida. Cætera, quæso,
Disce aliunde: nefas me mea facta loqui.[1]
XVII.
LUDOVICI AREOSTI EPITAPHIUM.
Ludovici Areosti humantur ossa
Sub hoc marmore, seu sub hac humo, seu
Sub quicquid voluit benignus heres,
Sive herede benignior comes, sive
Oportunius incidens viator:
Nam scire haud potuit futura. Sed nec
Tanti erat vacuum sibi cadaver,
Ut urnam cuperet parare vivens.
Vivens ista tamen sibi paravit,
Quæ inscribi voluit suo sepulchro
(Olim si quod haberet is sepulchrum),
Ne cum spiritus, exili peracto
Præscripti spatio, misellus artus,
Quos ægre ante reliquerit, reposcet,
Hac et hac cinerem hunc et hunc revellens,
Dum noscat proprium, vagus pererret.[2]
- ↑ I biografi dell’Ariosto non fanno menzione di questo suo congiunto e soldato di professione, il quale morì, come sembra, nella difesa di Monopoli, sostenuta da Cammillo Orsino, contro gli Spagnuoli e Tedeschi, capitanati da Ferrante Gonzaga, che l’assediavano nel 1529.
- ↑ Questo epitaffio fu tacciato di poco religioso, e si affaticò per sapere se nell’ultimo suo testamento il poeta avesse o no ordinato di scolpirlo sulla sua sepoltura. A noi pare che ben si apponesse il Baruffaldi stimandolo «un capriccio poetico scritto in gioventù, o quando in buona salute vedeva la morte più di lontano, non ad altro fine che di prendersi beffe di coloro i quali in vita hanno la vanità di prepararsi un sepolcro dagli altri separato e distinto. Vita ec., pag. 233. — Sono, del rimanente, assai note le traslazioni varie che già si fecero delle ossa di messer Lodovico, sino alla più recente, che seguì nel 1801, essendone promotore il francese generale Miollis, e
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