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canto primo. | 389 |
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Chi sei, e come è qua stanza sì bella,
Che in fondo alle acque mi par cosa rada. —
A Ferraguto allor rispose quella:
— Sappi ch’io fui nemica a quella Fada[1]
Che poco anzi occidesti, e d’ogni intorno
Faceva a’ circonstanti[2] injuria e scorno.
8 E quella son che ti donai quel tanto
Lucido, adomo e prezïoso scuto,
Con che vinto hai la Fada e ogni suo incanto,
A te di onore e a’ circonstanti ajuto:
E d’infiniti sol ti puoi dar vanto
Avere un tal trionfo oggi ottenuto,
Di che grato non solo agli uomin sei,
Ma fatto ne hai piacere insino a i Dei.
9 La Fada di coloro era nemica,
Che d’altre che di lei fussero amanti;
Anzi ogni industria usava, ogni fatica
Per rovinarli: e ben ne ha occisi tanti,
Che indarno è lo espettar, baron, ch’io dica
Quanti ne ha uccisi la malvagia, e quanti
Presi e in prigione morti per disagio,
Vietando loro il cibo e il stare ad agio.
10 Onde tanto costei Venere adonta,
Che sol di lei cercava aspra vendetta;
E[* 1] a tale impresa in fin persona pronta
L’amorosa mia don’ gran tempo espetta:
Ma solo hai vendicato ogni sua onta,
E però ne serai persona eletta,
A Vener grato, e per il tuo valore[* 2]
Fortunato serai sempre in amore.
11 E quantunque infelice per adrieto
Sempre sii stato in l’amoroso laccio,
Nell’avvenir serai giocondo e lieto,
Poi che distolte[3] ne hai di tanto impaccio.
E perchè intendi quel che ti è secreto,
Quel che richiesto m’hai io non ti taccio:
Sappi che ninfa son nasciuta in l’acque,
E di questo liquor sto corpo nacque.
- ↑ Per fata, maga, dallo spagnuolo fada o hada. — (A.-G.)
- ↑ MS.: circumstanti. E così altre volte.
- ↑ Distolte, per liberate. — (A.-G.) — Fors’è da leggere: disciolte.
33° |
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