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394 | rinaldo ardito. |
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E sol la notte a lei felice aspetta;[1]
Chè Amore è cieco, e notte gli diletta.
16 E senza altro pensare, un suo fidato
Accorto servitor chiamò quel giorno;
A cui disse: — Se sei, come hai mostrato,
Sempre nemico a chi mi vuol far scorno,
Prego che vadi più che puoi celato,
E Orlando trovi, cavaliero adorno,
E nostro capitan, se sai qual sia,
E questa gli darai da parte mia. —
17 E una lettera in mano al messo porse,
Che del suo amore il conte reavvisava.[* 1]
Dopo molte proferte, il servo corse
Al finto non, ma al ver conte di Brava.[2]
Il conte poi che del sigil si accorse,
La lettra prese, e altro non parlava;
Anzi, notando[* 2] il servo, in man la piglia,
In atto d’uom che assai si meraviglia.
18 Sciolsela,[3] e prima sotto[* 3] lesse
Il nome di chi a lui la scrive e manda,
Subito il resto a legger poi si messe,
Di tal tenore: — A te si raccomanda,[4]
Conte, colei che per signor ti elesse,
E sol ti apprezza, e solo ti dimanda:
Prégati, come la notte passata,
Questa altra ancor ti sia raccomandata.[* 4]
19 Rimase il conte alle parol’ sospeso,
E di notte non sa nè di che scriva;
Ma pur per conjettura ha in parte inteso
Quel che chiedea la donna e le aggradiva:
Sa ch’ella già lo amava; onde compreso
Ha che di nôvo in lei amor si avviva:
Ma pur di quel che ha letto assai si ammira,
E di nôvo la lettra or legge, or mira.