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16 i cinque canti.

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Chè, passandol, sarían come divine:
Il che natura o il ciel non può patire;
Ma vuol che giunto a quel, poi si decline.
A quello è giunto Carlo, se tu mire.
Or questa ogni tua gloria antica passa,
Se tanta altezza per tua man s’abbassa. —

49 E seguitò mostrando alta[1] cagione
Ch’avea di farlo, e mostrò insieme il modo;
Però ch’avría un gran mezzo, Ganellone,
D’ogni inganno capace e d’ogni frodo:
Poi le soggiunse, che d’obbligazione,
Facendol, le porrebbe al cor un nodo
In suoi servigi sì tenace e forte,
Che non lo potría sciôrre altro che morte.

50 Al detto della Fata, brevemente
Diè l’Invidia risposta, che farebbe.
I suoi ministri ha separatamente,
Che ciascun sa per sè quel che far debbe:
Tutti hanno impresa di tentar la gente;
Ognun guadagnar anime vorrebbe:
Stimula altri i signori, altri i plebei;
Chi fa li vecchi e chi i fanciulli rei.

51 E chi li cortigiani e chi gli amanti,
E chi li monachetti e i loro abati:
Quei che le donne tentano, son tanti
Che saríano a fatica noverati.
Ella venir se li fe tutti innanti,
E poi che ad un ad un gli ebbe mirati,
Stimò sè sola a sì importante effetto
Sufficïente, e ciascun altro inetto.

52 E de’ suoi brutti serpi venenosi
Fatto una scelta, in Francia corre in fretta;
E giugner mira in tempo ch’ai focosi
Destrieri il fren la bionda Aurora metta,
Allor ch’i sogni men son fabulosi,
E nascer veritade se n’aspetta:
Con novo abito quivi e nove larve
Al conte di Maganza in sogno apparve.

53 Le fantastiche forme seco tolto
L’Invidia avendo, apparve in sogno a Gano;

  1. Il Barotti legge: «altra.»
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