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422 | rinaldo ardito. |
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Come Canace amò già Macareo
Carnal fratello, o come Mirra il padre:
Sfrenato amore e senza alcuna legge,
Che sol con morte e strazio si corregge.
30 Poi si vedeano a schiera[* 1] i pediconi,
Che sotto al mento altrui tenean la mano,
E nelle lonze cercano i bocconi,
E per stretto sentier trovano[* 2] il grano;
E innanzi loro i patici garzoni[1]
Stavano in atto disonesto e strano:
E di essere ciascun quel ch’appunto era,
E questi e quei mostravano alla ciera.
31 Seguían dappoi quelli appetiti ingordi,
Privi d’umana e natural modestia,
Di vista ciechi e di audienzia sordi,
Che amano buoi o d’altra sorte bestia;
Privi d’ogni ragion, sfrenati e lordi,
Da indur sin nello inferno ira e molestia:
Pasifäe la guida era fra loro,
Che senza freno si soppose a un toro.
32 Veder vi si poteano anco altri amori,
Come già di sè stesso ebbe Narciso,
Di donna in donna, e di masturbatori;[2]
Ma son, più che da dir, da gioco e riso.
Ma pur ve n’era un altro fra’ maggiori,
Che chiuder fa le porte in paradiso;
Come è tra circumcisi e noi Cristiani,
O siano Ebrei o ver Macomettani.
33 Queste, con altre cose ch’io non narro,
Chè lungo fôra a ben narrarvi il tutto,
Vide dinanzi a quello aurato carro
Di Vener bella Ferraù condutto:
Nè già scrivendo favoleggio o garro;
Turpino il scrisse, ed egli a ciò m’ha indutto;
E scrive ancor, che Ferraguto allora
Restò come d’ingegno e sensi fuora.