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canto terzo. | 423 |
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34 Umil divenne il cavalier feroce,
Qual pecorella o mansueto agnello;
Tutto a Venere offerse il cuor atroce,
Nè d’altro che d’amar desidra quello.
Or può domarlo una femminea voce,
Un leggiadro sembiante, un viso bello;
Quel che non puotè mai asta[* 1] nè brando,
Ma qui vi lasso, e a voi mi raccomando.[1]
CANTO QUARTO.
1 Chi[2] spegner può la Fada a Amor nemica,
Ai piacer suoi e al suo giojoso regno,
Fassi la madre sua Venere amica,
E modo trova ad ogni suo disegno;
Ma sol la pazïenzia e la fatica
Pôn far l’amante di tal grazia degno:
Queste son l’armi vere[3] e scuto[* 2] e spada,
Che estinguer ponno la nemica Fada.
2 Io vi lassai il franco Ferraguto
Con gran fatica e somma pazïenza
Innanzi al car’ di Citeréa venuto,
A cui prostrato fece riverenza.
Vener, dappoi che allor l’ebbe veduto
Con tanta umilitade a sua presenza,
Accarezzòllo assai, e come Dea
Previde quel che per lei fatto avea.
3 E vôlta a lui con soave guardatura:
— Felice nell’amor (disse) sarai;[4]
Poi che la strada mia fatta hai sicura,
Lieta e propizia a te sempre mi arai:
Nelle trame d’amor lieta ventura
Sempre, baron, vivendo troverai;