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canto quarto. | 435 |
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Di tutta l’altra gente deretani,
Sì come un retroguardo, eran Romani.
52 Così van tutti, e sol Leone e Carlo[* 1]
Fra lor si grida, si desidra e noma.
Questo l’ordine fu, nè da me parlo.
Ma in scriverlo Turpin prese la soma:
La colpa è sua, se ben non seppe farlo.
Non saprei dir se a questi tempi in Roma
Li esperti mastri delle cerimonie
Tali ordinanze stimaríano idonie.[1]
53 Gionsero in fine alle sbadate[2] porte
Di Parigi, città magna e regale,
Ove è, con preti e frati d’ogni sorte,
In abito Turpino episcopale;
Tutti cantando salmi ed inni forte
Tanto, che sino al ciel la voce sale:
Innanzi a tutti si vedean[* 2] cantare,
Come in processïon si suole andare.
54 Dentro a Parigi si sentían campane
Con segno di allegrezza al ciel sonare;[* 3]
Tante trombe e tambur’ che lingue umane[* 4]
Non bastarian, volendolo esplicare;
Arpe, liuti ed altre cose strane
Si udivano con grazia armonizzare;
Musiche con canzoni,[* 5] e bei mottetti
Con arie belle, e contrappunti[3] eletti.
55 Grande allegrezza fan fanciulle e donne,
E al beato pastor debiti onori:
Adorne eran le dame in belle gonne
Con diversi ornamenti e bei colori;
E quante lo vedean, serve e madonne,
Spargevano in suo onor diversi fiori,
Con odorifere erbe e naturali,
Sopra il capo a Leone e i cardinali.
56 Entrati in la città, súbito andaro