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440 | rinaldo ardito. |
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E via fuggendo quella dama porta,
E con parol’ la inánima e conforta.
15 Lontana da Valenzia la condusse,
Sempre[* 1] spronando forte il suo destriero,[1]
Tanto che esistimò che salva fusse,
Nè più di essere offesa ebbe pensiero;
E in ripa a un fiume appunto la ridusse,
Ove era naturale un bel verziero
Di mille frutti ed erbe delicate,
Vaghe di sua verdura e di odor grate.[* 2]
16 Ivi slegòlla, e gli occhi le disciolse,
E in terra dall’arcion ripose quella;
E alquanto riposarse anch’essa volse,
E allor d’un salto si levò di sella:
Dappoi la dama appresso si raccolse,
Guardòlla in viso, e ben le parve bella;
Chè per la benda che avea agli occhi involta,
Bellezza l’era e la apparenzia tolta.
17 E súbito pietà di quella prese
Maggior che pria la forte Bradamante,
E all’altra dama chi fusse chïese,
E qual cagion la indusse a pene tante.
Quella, che sempre Bradamante crese
Esser non donna ma barone aitante,
Rimase del suo onore in gran sospetto,
E più d’un gran sospir gittò dal petto.
18 Poi le rispose: — Sappi, cavaliero
Che per mio ben da Dio fusti mandato,
Che di ciò che mi chiedi io dirò il vero,
Chè molto ben da me l’hai meritato. —
Ma perchè dirvel poi più ad agio io spero,
Queste per or vi lasso in quel bel prato,
Che poi fûr, per averle nelle mani,
Assai cercate da’ Valenzïani.
19 Le dame io lasso ed a Ranaldo io torno,
Che disturbato fu dal suo piacere;
Nè fu sì lieto mai quanto quel giorno,
Se si potéa la dama allor godere;
- ↑ Il MS. ha: destrero, pensero e verzero.