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442 | rinaldo ardito. |
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La provvidenzia e l’ordine divino?
La fede è sol del certo incerto a nui:
Credete mo’ quel che ne piace[* 1] a vui.
24 Ora tornando al mio primo proposto,
Le vacche costui guida alla campagna;
È, come sopra vi narrai, composto
Lungamente pastor, nasciuto in Spagna;
Ma di veder la Franza era disposto,[* 2]
Chè del steril paese assai si lagna,
Quale è gran parte nel paese Ispano:
Però se n’è partito e va lontano.
25 E dove era Ranaldo con Ismonda,
Appunto appunto si trovò per caso.
Ranaldo, che sua sorte assai gioconda
Sturbar si vede e n’è privo rimaso,
Tanto si sdegna e tal furor gli abbonda,
Che fôco soffia per la bocca e naso;
E, con Fusberta in mano, a gran furore
Andò Ranaldo centra a quel pastore.
26 Più non si mosse allor quel rozzo e brutto
Pastor, come ivi alcuno non vedesse,
E che securo si trovasse in tutto,
O contra a lui un fanciullino avesse;
E mossesi il gran tor’,[1] quale era instrutto,
Che se in lor danno alcuno si movesse,
Debbia quel toro con le corna urtarlo,
E con quel colpo occiderlo o atterrarlo.
27 Mossesi[2] il toro allor con gran rovina,
E a un urto riversò[3] Ranaldo al piano:
Proprio nel ventre, con la fronte china,
La bestia gli fermò quel colpo strano.
Tramortito è Ranaldo, e la meschina
Ismonda piagne e si lamenta in vano;
Chè súbito il pastor quella pigliava,
E in mezzo alle tre vacche la cacciava.