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canto quinto. 443

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28 Come una belva fosse o un’altra vacca,
Innanzi si cacciava Ismonda bella;
E così nell’onor la offende e smacca,
Che assai più che ’l timor molesta quella.
Nel cuor dogliosa e già nel pianger stracca,
Non ardisce gridar, nè pur favella;
Però che, se piangesse, avea timore
Che ’l tor’ non la offendesse o quel pastore.

29 Così lassando oppresso il suo campione,
Ismonda fra le vacche camminava:
Il mostro, che chiamato era Burone,
A un folto bosco oscuro la guidava:
La giovane tra sè chiama Macone;
Ma nulla alla meschina allor giovava.
Prima tre or’ che fusse risentito,
Stette Ranaldo in terra tramortito.

30 Ma poi che fu risorto, a Ismonda[* 1] il côre
Súbito volse ed ogni suo[* 2] pensiero.
Come colui che le portava amore,
E per cercarla ascese il suo destriero;
Nè la vedendo, scoppia di dolore,
Che pur potette assai, a dire il vero:
Maledisse il pastore e la fortuna,
E intanto giunse allor la notte bruna.

  (Manca la continuazione.)




      • ad altro.
      • Non rivolse che a Ismonda ogni.
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