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elegie. 451

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  Fera non è che quivi intorno giri,
Che non sappia ’l mio stato e l’esser mio,
33L’angustie, le fatiche e gli martirî.
  O cieli, o fato, o destin aspro e rio
Sotto cui nacqui! o dispietata stella,
36Com’ognor sei contraria al mio desio!
  O fortuna perversa, iniqua e fella!
O Amor crudel e d’ogni mal radice,
39Ben stolto è chi dà orecchie a tua favella!
  Tu dimostrasti farmi il più felice
Che mai si ritrovasse tra gli amanti,
42Per farmi poi ’n un punto il più infelice.
  Non son nel regno tuo perle o diamanti
Che non sian pieni di pungenti spine,
45Date per premio di sospiri e pianti.
  Qual lingua potría dir mai le ruine
Che per te già son state, e quante gente[1]
48Per tua cagion son giunte a miser fine?
  Per te si ritrovò Troja dolente;
Per te cangiòssi Dafne in verde alloro,
51De la cui doglia ancor Febo ne sente;
  Per te Piramo e Tisbe sotto ’l moro
Con le sue proprie man si dier la morte;
54Per te Pasife si congiunse al toro;
  Per te Dido costante, ardita e forte
Passòssi ’l petto nel partir di Enea;
57Per te Leandro giunse a trista sorte;
  Per te la cruda e rigida Medea
Occise il suo fratel, ed altri mille
60Per te sentirno pena acerba e rea.
  Non escon d’Etna fuor tante faville,
Quanti son morti per tuo mal governo,
63Nè dà tant’erbe aprile a prati e ville.
  Il tuo non è già regno, ma uno inferno,
Ove sempre si piange e si sospira,
66Ove si vive con affanno eterno.
  Non ti maravigliar se son pien d’ira,
S’io mi lamento, signor impio e crudo,
69Ch’a dirti ’l ver ragion mi sforza e tira.
  Tu mi legasti a un arbor verde e nudo,


  1. Per genti. — (Veludo.)
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