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452 elegie.

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Ch’in sè non avea ancor vigor nè possa;
72Al qual fui per difesa sempre scudo,
  A ciò non fosse sua radice mossa
Per freddo o caldo,[1] per tempesta o vento,
75O da folgor del ciel fiaccata scossa.
  Sempre vi stava con ogni arte intento,
Con ogni ingegno e forza lo nutriva,
78E del suo frutto mi tenea contento:
  Ma poi ch’e’ crebbe[2] e ’n sino al ciel fioriva,
E che del frutto avea qualche speranza,
81Altri l’accolse,[3] e fu mia mente priva.
  Quest’ é il costume tuo, quest’è l’usanza,
Fallace Amor: però in pianto destino
84Fornir il breve tempo che m’avanza,
  E per il mondo andar qual peregrino,
Maledicendo te del mal ch’io porto,
87Fin che morte interrompa il mio cammino.
  E s’alcun mai trovasse ’l corpo morto,
Prego ciascun che ’l lassi sopra terra,
90Chè, poi che ’n vita fui senza conforto.
  Dopo morto con fere abbi ancor guerra.




  1. Il Codice: per freddo, caldo.— (Veludo.)
  2. Il Codice: ch’el crebbe. — (Veludo.)
  3. Così ha il Manoscritto, come nota il sig. Veludo; che fece imprimere la colse, senza badare al necessario accordo con frutto, od anche con arbore, che di sopra è posto nel genere maschile. L’amico indicato nella nota 1 della pag. 447 ricordò opportunamente, che l’Ariosto medesimo, nell’Elegia XV, avea scritto: «Per memoria di quei frutti, Ch’or mi niega d’accôr l’altera pianta.» Vedi sopra, a pag. 242.
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