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456 | canzoni. |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Ariosto-Op.minori.1-(1857).djvu{{padleft:485|3|0]]
E per disdegno congiuraron, quando
90Del mondo uscîr, tôrne perpetuo bando.
Del danno suo Roma infelice accorta,
Dice: — Poiché costui. Morte, mi tolli,
Non mai più i sette colli
Duce vedran che trionfando possa
95Per sacra via trâr catenati i colli.
Dell’altre piaghe ond’io son quasi morta,
Forse sarei risorta;
Ma questa è in mezzo ’l cor quella percossa
Che da me ogni speranza n’ha rimossa. —
100Turbato corse il Tebro alla marina,
E ne diè annunzio ad Ilia sua, che mesta
Gridò piangendo: — Or questa
Di mia progenie è l’ultima ruina. —
Le sante Ninfe e i boscarecci Dei
105Trassero al grido, e lagrimâr con lei.
E si sentîr nelluna e l’altra riva
Pianger donne, donzelle e figlie e matri;
E da’ purpurei patri[1]
Alla più bassa plebe il popol tutto;
110E dire: — O patria, questo di fra gli altri
D’Allia e di Canne ai posteri si scriva.
Quei giorni che captiva
Restasti e che ’l tuo imperio fu distrutto,
Non più di questo son degni di lutto. —
115Il desiderio, signor mio, e ’l ricordo
Che di te in tutti gli animi è rimaso,
Non trarrà già all’occaso
Sì presto il vïolente fato ingordo;
Nè potrà far che mentre voce e lingua
120Formin parole, il tuo nome s’estingua.
Pon questa appresso all’altre pene mie,
Che di salir al mio signor, Canzone,
Sì ch’oda tua ragione,
D’ogni intorno ti son chiuse le vie.
125Piacesse a’ venti almen di rapportarli
Ch’io di lui sempre pensi, o pianga o parli!
- ↑ I cardinali.