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458 | canzoni. |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Ariosto-Op.minori.1-(1857).djvu{{padleft:487|3|0]]
Ecco, tra i nostri pascoli discesi
Fieri apri,[1] aspri orsi, e per diverse rupi
La notte scender ululando lupi,
40Che versan gli occhi di spavento accesi:
Anzi (chi fia che ’l creda?), i’ ho già intesi
Con voce umana orribile chiamarsi;
E menzogna non è che in lor sian l’alme
Dei ladron che son morti in queste selve;
45Ed odonsi al silenzio della luna
Mugghiar più strane belve,
Chè nè al fuggir nè al star l’animo valme.
Quando fia mai, fortuna,
Che veggia, allor che, il sole
50Calando, l’aere imbruna,
Le pecorelle mie la sete trarsi
Su queste rive, e con l’usate salme
Tornarsi a casa; e in queste piagge sole
S’odan le mie parole?
55Quando fia mai che ’l bel volto di tauro,
O re de’fiumi, le tue amate ninfe
Ti spargano di latte e chiare linfe,
Coronando di fior le corna d’auro?
E i tuoi pastor di mirto e verde lauro
60Adornino le mandre, e a gli alti abeti
Vaghi sospendan le zampogne e gli archi?
E di teneri agnelli sacrifizio
Ti facciano, con preghi e voce umile,
Ch’a l’estivo solstizio
65Nel tuo gonfio ondeggiar gli argini varchi,
Perchè a l’usato ovile,
Mentre ha men forza il sole,
Finchè ritorni aprile,
Possano starsi, e poi tornarsi lieti
70A le campagne aperte e ameni parchi?
O re de’ fiumi, in queste piagge sole
Odi le mie parole. —
Così diceva; e tra verdi arboscelli
Giacéa fra l’erbe la mia Mincia[2] all’ombra,
75Qual chi di dolce sonno l’aura ingombra