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IV.[1]
Lasso, i miei giorni lieti e le tranquille
Notti che i sonni già mi fêr soavi,
Quando nè amor nè sorte m’eran gravi,
4Nè mi cadean dagli occhi ardenti stille;
Come, perch’io[2] continuo, dalle squille
All’alba, il seno lagrimando lavi,
Son vôlti[3] affatto: onde il cuor par s’aggravi
8Del suo vivo calor, che più sfaville.
O folle cupidigia, o non al merto
Pregiata libertà,[4] senza di cui
11L’oro e la vita ha ogni suo pregio incerto;
Come beato e miser fate altrui,
E l’un dell’altro è morte e occaso certo,[5]
14Or che piangendo penso a quel ch’io fui!
- ↑ Gagliardo di stile e tessuto di nobili concetti, ma sconnessi alquanto, e poco chiaramente espressi, forse per difetto di lima. Il Barotti avea detto, forse con troppo rigore, che non sarebbegli parso di mal giudizio chi nol tenesse per cosa dell’Ariosto. Il Molini lo crede opera di lui giovanile.
- ↑ Affinchè io.
- ↑ Mutati.
- ↑ O libertà non pregiata secondo il merito, senza la quale libertà ec.
- ↑ E la cupidigia è morte e fine sicura della libertà.
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