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canto primo. | 27 |
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Ruggier col suo figliastro non le meni:
Ma per poter non dargli impresa in vano,
Oltre oro e gemme e ajuti altri terreni,
Promise ella all’incontro di far quanto
Potea sopra natura oprar l’incanto.
102 E gli diè nella gemma d’uno anello
Un di quei spirti che chiamiam folletti,
Che gli obbedisca, e così possa avello
Come un suo servitor de’ più soggetti:
Vertunno è il nome, che in fiera, in uccello,
In uomo, in donna e in tutti gli altri aspetti,
In un sasso, in un’erba, in una fonte
Mutar vedrete in un chinar di fronte.
103 Or perchè Malagigi non ajuti,
Com’altre volte ha fatto, i Paladini,
Gli spiriti infemal tutti fe muti,
I terrestri, gli aérei ed i marini;
Eccetto alcuni pochi c’ha tenuti
Per uso suo, non franchi nè latini,
Ma di lingua dagli altri sì rimota,
Ch’a nigromante alcun non era nota.
104 Quel ch’alla Fata il traditor promise,
Promiser gli altri ancor ch’eran con lui.
Fermato il patto, Gano si rimise
Nel fantastico legno con li sui.
II vento, come Alcina gli commise,
Fra i lucidi Indi e li Cimmerii bui
Soffiando, ferì in guisa nell’antenna,
Ch’in aria alzò la nave come penna.
105 Nè men che ratto, lo portò quïeto
Per la medesma via che venut’era;
Sì che, fra spazio di sett’ore, lieto
Si ritrovò nella sua barca vera,
Di pan, di vin, di carne e infin d’aceto
Fornita e d’insalata per la sera:
Fe dar le vele al vento, e venne a filo
Ad imboccar sott’Alessandria il Nilo.
106 E già dall’ammiraglio[1] avendo avuto
Salvocondotto, al Cairo andò diritto,
Con duo compagni, in un legno minuto
- ↑ Il Barotti ed altri: «Armiraglio.»
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