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canto secondo. | 47 |
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84 E con onesta forza, la mattina,
E dolci preghi, a mangiar seco il tenne.
Il vecchio intanto a Baldovin cammina,
Che al venir ratto aver parve le penne:
Piglia tosto ogni uscita, indi declina
Ove il dì si facea lieto e solenne;
E quivi, senza poter far difese,
E Penticone[1] e de’ suoi molti prese.
85 Lasciato avea chi subito al fratello
La vera causa del suo andar narrassi;
Che avea per prender Penticon, non quello
Monte occupar, volti la sera i passi;
Sì che per l’orme sue verso il castello
Pregava che col resto il seguitassi.
Benchè non piacque al Conte che taciuto
Questo gli avesse, pur non negò ajuto:
86 E con tutti gli altri ordini si mosse,
Senza che tromba o che tambur s’udisse;
E perchè inteso il suo partir non fosse,
Lasciò chi ’l foco insino al dì nutrisse.
La presa del figliuol, non sol[2] percosse,
Ma al vecchio padre in modo il cor trafisse,
Che si levò dell’Alpi; e mezza rotta
Salvò a Chivasco ed a Vercei la frotta.
87 Nè a Vercei nè a Chivasco il paladino
Di voler dar l’assalto ebbe disegno;
Anzi i passi volgea dritto al Ticino,
Alla città che capo era del regno.
Desiderio, per chiudergli il cammino,
Lo va a trovar, ma non gli fa ritegno;
Ed è sì inferïor nel gran conflitto,
Che ne riman perpetuamente afflitto.
88 Quivi cadèr de’ Longobardi tanti,
E tanta fu quivi la strage loro,
Che ’l loco della pugna gli abitanti
Mortara da poi sempre nominoro.[3]
- ↑ Non faremo osservazioni nè sulla falsata istoria, nè sul bel nome di Adelgiso o Adelchi tromutato in Penticone.
- ↑ Il Barotti: non che.
- ↑ Si trova scritto che fosse così detto quel luogo, dove Desiderio fu rotto e preso da Carlo Magno, collo sterminio e uccisione de’ Longobardi. Ferrar. Lez. Geogr. — (Barotti.)
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