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54 | i cinque canti. |
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Che chi ferro alza contra il bosco, fiede
Sè stesso e môre, e nell’inferno giuso
Visibilmente in carne e in ossa è tratto,
O resta cieco o spiritato o attratto.
119 Carlo, fatta cantare una solenne
Messa dall’arcivescovo Turpino,
Entra nel bosco, ed alza una bipenne,
E ne percote un olmo più vicino:
L’arbor, che tanta forza non sostenne,
Chè Carlo un colpo fe da paladino,
Cadde in duo tronchi, come fu percosso,
E sette palmi era d’intorno grosso.
120 Chi si ricorda il dì di san Giovanni,[1]
Che sotto Ercole o Borso era sì allegro?
Chè poi veduto non abbiam molt’anni,
Come nè ancora altro piacere integro;
Da poi che cominciàr gli assidui affanni
Dei quali è in tutta Italia ogni core egro:[2]
Parlo del dì che si facea contesa
Di saettar dinanzi alla sua chiesa.
121 Quel dì innanzi alla chiesa del Battista
Si ponean tutti i sagittarî in schiera;
Nè colpo uscía fin che al bersaglio vista
La saetta del principe non era;
Poi colla nobiltà la plebe mista
L’aria di frecce a gara facea nera:
Così ferito ch’ebbe il bosco Carlo,
Fu presto tutto il campo a seguitarlo.
122 Sotto il continuo suon di mille accette
Trema la terra, e par che ’l ciel rimbombi;
Or quella pianta or questa in terra mette
Il capo, e rompe all’altre braccia e lombi.
Fuggon da’ nidi lor gufi e civette,
Che vi son più che tortore o colombi;
E, con le code fra le gambe, i lupi
Lascian l’antiche insidie e i lochi cupi.
- ↑ Parlasi in questa stanza del pubblico divertimento di tirare a segno con saette, che praticavasi in Ferrara, il dì di San Giovanni, sotto Borso, primo duca, e sotto Ercole I che gli succedette; il qual divertimento fu poi, per le gravi circostanze d’Italia, intermesso. — (Molini.)
- ↑ Cioè dalla calata di Carlo VIII, nel 1494.
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